Gifted nella società italiana contemporanea, lo spazio negato

Gifted nella società italiana contemporanea, In un tempo segnato dalla complessità, dall’incertezza e dalla richiesta crescente di adattabilità, creatività e intelligenza emotiva, ci si potrebbe aspettare che il talento venga riconosciuto e coltivato come risorsa collettiva.

Eppure, in Italia, i bambini e ragazzi gifted, ovvero con alto potenziale cognitivo, restano
troppo spesso invisibili, fraintesi o, paradossalmente, ostacolati proprio laddove dovrebbero essere
valorizzati: nella scuola, nella famiglia, nella società.
Invisibili perché “funzionano”.

Non avendo un bisogno evidente, il bambino gifted non attiva il sistema di protezione previsto per le
fragilità scolastiche. Allo stesso tempo, la sua eccellenza non rientra nei modelli riconosciuti di successo
lineare. È inquieto, pone domande scomode, si annoia facilmente, contesta l’autorità se non ne comprende il senso.

In altri termini: non sempre è performante, ma è profondamente competente.
Spesso definito con frasi stereotipate come “se è così intelligente, perché non si applica?”, il bambino ad
alto potenziale viene misurato con criteri quantitativi e standardizzati, che non colgono la sua specificità:
pensiero divergente, sensibilità emotiva, asimmetrie tra sviluppo cognitivo e socio-relazionale.
Una cultura educativa ancora omologante
La scuola italiana fatica ad accogliere chi esce dal perimetro della norma.

Il sistema tende alla medietà: le personalizzazioni didattiche sono previste per il disagio, non per il potenziale. Gli insegnanti, spesso non formati su questi temi, possono percepire il gifted come “problematico”, “presuntuoso” o addirittura “disturbante”.
In assenza di una normativa nazionale che riconosca e tuteli i gifted, come accade in molti altri Paesi
europei, ci si affida alla buona volontà dei singoli o alle iniziative di enti e associazioni. Una condizione che genera ineguaglianze di accesso, percorsi discontinui e assenza di visione sistemica.
La famiglia tra aspettative e disorientamento
Il contesto familiare italiano, ancora legato a modelli educativi tradizionali, può reagire in modi opposti alla diversità del figlio gifted. Alcuni genitori proiettano su di lui le proprie ambizioni, sovraccaricandolo di aspettative.

Altri, disorientati, minimizzano o ignorano i segnali, nel timore di “medicalizzare” una
peculiarità che faticano a comprendere.
Il risultato è spesso un vissuto di solitudine, inadeguatezza o ansia nel ragazzo gifted, che si percepisce
troppo rispetto ai pari, non abbastanza rispetto alle attese. Una disconnessione che può evolvere in blocchi motivazionali, ritiro scolastico, scelte universitarie sbagliate, auto-svalutazione cronica.
Un potenziale che ci riguarda tutti, l’intelligenza gifted non è solo una questione di talento individuale. È un’opportunità per l’intera società, che ha bisogno di menti capaci di pensare in modo critico, immaginare scenari alternativi, affrontare l’incertezza con flessibilità.
Tuttavia, per far sì che questo potenziale si esprima, occorre creare spazi di riconoscimento reale:

  • contesti scolastici stimolanti, in cui la personalizzazione sia un diritto educativo e non un’eccezione;
  • percorsi psicologici di sostegno e orientamento, che accompagnino lo sviluppo identitario dei gifted;
  • politiche culturali e istituzionali, che riconoscano la plusdotazione come una forma di neurodivergenza positiva, e non come una categoria d’élite.

Verso una società che accoglie la complessità

Occuparsi di gifted non significa alimentare l’idea di superiorità. Significa accogliere la complessità dell’essere umano, riconoscere che non tutti apprendono allo stesso modo, e che la scuola – come luogo di crescita – ha il compito di valorizzare la diversità in ogni sua forma.

Siamo chiamati a superare la logica dell’adattamento al sistema, per costruire sistemi che si adattino alle potenzialità delle persone. Solo così potremo dare spazio non solo ai gifted, ma a ogni forma di talento che oggi resta ai margini.